Ed allora proviamo a fare il punto. Così come ripeteva l'indimenticata Elena Greco,
prof. di diritto e scienze delle finanze
alle superiori, di una impresa o ente, va sempre tenuto ben distinto l’impianto
finanziario da quello economico. Questi devono essere adeguati e proporzionati all'iniziativa che si intende perseguire ma un conto è la “patrimonialità”
(quell'insieme di attività e passività, crediti e debiti, dal cui saldo si
esprime il patrimonio netto), un conto è la capacità di generare economia (quindi
profitti) sostenendo costi e producendo ricavi.
In linea di principio è, quindi, l’attività economica che genera finanza e non il contrario perchè è da questa che si genera valore aggiunto, quel qualcosa definibile “ricchezza”, quel qualcosa che non esiste ma che con l’opera dell’impresa (intesa come l’insieme di risorse umane e materiali) viene creata. Se così non fosse, non si spiegherebbe come, soprattutto nel nostro meridione, tante iniziative economiche riescono ad emergere anche senza adeguati capitali iniziali.
In linea di principio è, quindi, l’attività economica che genera finanza e non il contrario perchè è da questa che si genera valore aggiunto, quel qualcosa definibile “ricchezza”, quel qualcosa che non esiste ma che con l’opera dell’impresa (intesa come l’insieme di risorse umane e materiali) viene creata. Se così non fosse, non si spiegherebbe come, soprattutto nel nostro meridione, tante iniziative economiche riescono ad emergere anche senza adeguati capitali iniziali.
Cosa registriamo oggi: un interesse infinito, smisurato,
ossessivo, verso la componente finanziaria dei sistemi “Paese” ed una scarsa, scarsissima attenzione verso
la componente economica, dirottata ormai dai principali “player” industriali,
verso i Paesi asiatici e dell’Est.
Le stesse banche, il cui core business è quello di
raccogliere danaro (attraverso la gestione di risparmi e quindi di ricchezze
generate dall'economia) ad un prezzo per poi rivenderlo ad un altro,
così da realizzarne un profitto, in realtà oggi, prediligono la compravendita
non già di danaro ma di prodotti finanziari per lo più costituiti da titoli di
stato. Ciò ha spostato quindi in modo sempre più esponenziale, l’interesse
economico delle banche dal settore privato al settore pubblico. Solo in modo
residuale verso l’impresa, perché pochi sono gli imprenditori che hanno voglia
di investire in questo nostro Paese e ancor meno i settori produttivi degni di
attenzione politica, quali potrebbero essere l’edilizia in genere, il turismo,
le energie rinnovabili ma anche (anzi soprattutto) l’agricoltura.
E cosa accade di fronte a questo sbilanciamento di
attenzioni tra l’economia e la finanza?
Accade che per la parte finanziaria, ci misuriamo e competiamo
con gli altri paesi europei mentre, per la parte economica, ognuno fa da sé,
salvo scrivere ricette di rigore che ulteriormente deprimono le singole
economie.
Il mercato finanziario è quello europeo e mondiale,
l’economia resta invece quella locale, ognuna con il suo diverso carico
fiscale, con le proprie politiche del lavoro, con i propri impianti
previdenziali, assistenziali, ecc…
Politiche economiche e sociali divergenti da Stato a Stato, a
fronte di politiche monetarie e finanziarie, convergenti in un unico mercato.
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