Tempo fa, un politico ospite di Bruno Vespa, lamentava l’eccessivo
onere che grava sulle buste paga dei lavoratori italiani. In sintesi, disse che
1.000 euro di stipendio costano circa 1.700
euro.
Avendo riferito grosso modo solo il lordo ed il netto di uno stipendio,
mi fa pensare che egli conosca bene la struttura di una busta paga e che magari,
egli stesso, viva di lavoro dipendente. Certamente, però, come del resto larga
parte dei lavoratori dipendenti e dell’opinione pubblica in genere, non
conosceva l’effettivo costo che si sostiene in Italia per la corresponsione di uno stipendio.
Ed allora, proviamo a riepilogarli questi costi, portando ad esempio un
caso reale di cui si ha conoscenza diretta. Si tratta della busta paga elaborata
a settembre 2012 per l’impiegata di uno studio tecnico.
La retribuzione netta corrisposta, ammonta ad € 1.107 mentre quella
lorda € 1509; il versamento complessivo di contributi, irpef ed addizionali varie da effettuare il
prossimo 16 ottobre, ammonta ad € 839. Si potrebbe quindi dire che, per corrispondere 1.107 euro (uno stipendio sulla
soglia della sopravvivenza, come riconosciuto dallo stesso Istat che, poco
tempo fa, ha definito povere le famiglie che vivono con poco più di 1.000 euro
mensili e molto povere quelle che vivono con un reddito mensile al di sotto di
tale soglia) il datore di lavoro sostiene un costo mensile di 1.946 euro. Aggiungendo il rateo di premio Inail e la quota mensile di
Tfr, si arriva ad un costo mensili di
2.056 euro. Purtroppo non è finita, siamo ancora lontani dal costo totale
effettivo.
C’è dell’altro e che altro.
Se infatti analizziamo tale costo su base annua, scopriamo che, per la
lavoratrice in questione, le retribuzioni sono 14 mentre i mesi lavorati (al
netto delle ferie) sono 11. Ergo, (2.056 x 14) : 11, il costo mensile lievita a
2.617 euro, a fronte di un reddito netto complessivamente corrisposto al lavoratore
di circa 1.291 su base mensile. Se consideriamo infine, l’incidenza percentuale
di ferie, permessi, malattie, festività soppresse e non, scioperi ed accidenti
vari, il costo complessivo dello stipendio si attesta intorno ai 2.800 mensili,
mentre il netto erogato al lavoratore si contrae ulteriormente.
Se questo è il quadro, se questi sono i numeri fondamentali del costo
del lavoro (e lo sono), come pensiamo di affrontare le sfide economiche globali
senza una radicale riforma, che investa non soltanto il rapporto di lavoro, ma
anche l’intero welfare che da tale costo, trae le risorse necessarie alla sua
copertura. Dall'analisi di questi
numeri, proprio perché inconfutabili e spietati, dovremmo maturare la
consapevolezza che non basterà inventarsi incentivi, agevolazioni temporanee,
nuove forme o tipologie di lavoro. Ci sono aree nel mondo in cui il costo del
lavoro è pari ad un decimo del nostro. Noi stessi le sfruttiamo.
Non sarà la soluzione ma forse, tornerebbe utile, al fine di una presa
di coscienza collettiva, rendere obbligatoria l’indicazione in busta paga del
costo annuo effettivo globale. Un po’ come per il TAN ed il TAEG, ai fini della
trasparenza sugli interessi bancari. Aiuterebbe a far maturare consapevolezza
allo stesso lavoratore e quindi a far maturare contezza sociale su tale tema.
Una maggiore e più diffusa conoscenza della problematica, probabilmente,
aiuterebbe a focalizzare, diagnosticare, le vere cause di un mercato del
lavoro, chiaramente drogato da troppi fattori e questioni contingenti.
Sotto questo aspetto, quello appunto del costo del lavoro, anche il
governo tecnico ha fallito. L’elefante (governo) ha partorito l’ennesimo
topolino (riforma). In tema di lavoro e welfare si è pensato alla soluzione più
facile, scontata ed immediata. Le pensioni sono state tagliate, in quattro e
quattr’otto sono stati eliminati scalini e scaloni. Non potendo aumentare
ulteriormente la contribuzione si e ridotta la prestazione.
Ma dov'è la novità, l’innovazione, il cambio di rotta? Si è fatto un
po’ come il fornaio che, non potendo aumentare il prezzo del pane, sforna pani da 800 grammi anziché da un
chilo. Temo si tratti di una non soluzione che rischia di portarci tutti alla
fame.
Semplicemente questa "coscienza sociale" non fa parte del programma di base di questo governo;
RispondiEliminaOrmai gli imprenditori sono diventati il nemico sociali, sinonimo di evasore, "parassita sociale" (con tanto di Pubblicità in TV). Il dipendente è "costretto" a pagare tutte le tasse, il datore che può evade mangia e non rende conto a nessuno; questo si chiama odio sociale, fomentato con calcolo dal governo tecnico, per nascondere il fatto che il vero parassita è lo stato.
L'unica soluzione è quello di ELIMINARE IL SOSTITUO D'IMPOSTA.