Come
sappiamo, liberalizzare attività economiche “protette” o comunque
“regolamentate” dallo Stato, in linea teorica produce un beneficio “diffuso”
per la collettività.
In Italia,
un caso da prendere ad esempio è quello delle telecomunicazioni.
Potremmo
quindi dire che è stata l’innovazione tecnologica il vero motore di questo
processo al quale i legislatori europei e mondiali non hanno che potuto adeguarsi
regolamentando un mercato non
il contrario. E’ il processo naturale (l’invenzione) quindi, che pone la
questione di una adeguata e moderna regolamentazione. Quando avviene il
contrario, i risultati non sono così scontati o automatici e vediamo perché.
Perché i
portatori di interessi nei mercati monopolistici (cosiddetti poteri forti)
esercitano grosse influenze sui governi locali, al punto che quando si tenta di
“aprire” ad una qualche forma di liberalizzazione, ad esempio incidendo
marginalmente solo su determinati elementi del mercato liberalizzato,
automaticamente si crea il fenomeno dei “cartelli”.
E’ quello
che ritengo sia avvenuto per esempio, con la liberalizzazione (se così si può
chiamare) della benzina. Le compagnie petrolifere, all’unisono, rettificano non
solo i prezzi ma propongono anche
attività promozionali e politiche commerciali del tutto simili tra loro. Così
facendo, non solo non si spiega alcun vantaggio diffuso per la
collettività ma si creano meccanismi
tortuosi di “imbavagliamento” del mercato, al punto che lo stesso legislatore
ha poi difficoltà nel correggere.
Anche nel
settore delle assicurazioni, dell’energia, dei servizi bancari, si patiscono
difficoltà non dissimili. Si vorrebbero mercati più snelli, più competitivi ma
allo stesso tempo, si fa poco o nulla perché veramente si realizzino le
fondamenta per una “utile competizione” all’interno del mercato. Il costo
dell’Rc auto aumenta indistintamente per tutte le compagnie, i costi dei
servizi bancari sono allineati tra i principali attori del settore e, quanto
all’energia, si sono create si, società in concorrenza tra loro ma le
principali, ancora fanno capo allo stesso gruppo.
Cosa
abbiamo registrato in quest’anno di governo Monti.
Il tema
delle liberalizzazioni era materia principale per il Governo (come del resto lo
è stato per tutti i governi precedenti), si sperava in una svolta decisiva, ma
ancora una volta, evidentemente proprio per la pressione degli interessi forti
di cui sopra, si sono prodotte norme del tutto inadeguate alle reali esigenze
del Paese.
Ancora una
volta ci si è accaniti contro tassisti, benzinai, farmacisti e notai. E’ un po’
come voler vedere il pelo e non la trave delle liberalizzazioni.
I tassisti.
Chi sono?
Sono dei lavoratori, prevalentemente distribuiti tra Roma, Napoli, Milano,
Torino e qualche altra città che non trovano certo mercato in tutta l’Italia.
Quanto guadagna questa “casta”? Immagino guadagnino bene, potranno permettersi
di mantenere i figli all’università, avranno pure qualche seconda casa, ma mi
riesce difficile immaginarli milionari. A chi rivolgono i loro servizi? Ad un
ceto sociale evidentemente medio alto, al cosiddetto ceto borghese. Pensiamo
che aumentando il numero dei tassisti e riducendo così il costo delle tariffe,
possa aumentare il mercato di riferimento? Che anche il pensionato, il
cassintegrato o l’operaio possa godere di questo servizio? Io nutro qualche
dubbio.
I benzinai.
Sono dei
puri e semplici gestori. Gestiscono un impianto che di solito, è di proprietà
della compagnia petrolifera. Se considero che non hanno la possibilità di
mettere in pratica politiche commerciali autonome, di non poter decidere il
prezzo di vendita ne tanto meno quello di acquisto e nemmeno di decidere quanta
merce tenere in magazzino (la capacità dei serbatoi quella è), che in pratica la loro attività si manifesta
svolgendo funzioni di distribuzione ed esazione per ordine e conto delle
compagnie, non riesco ad immaginare quale vantaggio possa produrre un’azione
politica limitata al solo anello finale della catena petrolifera.
Sforzandomi,
voglio considerare i farmacisti una vera casta. E così facendo ci metto pure i
notai.
Ma mi
chiedo: Forse con un maggior numero di farmacie sul territorio sarò invogliato
ad andarci più spesso? ...certamente no. Forse diminuiscono i prezzi per effetto
di una maggiore concorrenza? Neanche, perché i prezzi vengono imposti dalle
case farmaceutiche mica dal farmacista. Le medicine si comprano se ci si ammala
punto. Così come l’auto continuerà ad essere un mezzo di trasporto essenziale
per tantissimo tempo e tantissime persone, finché non matura una “naturale”
necessità (associata ad una adeguata capacità politica) di realizzare imponenti
progetti di mobilità collettiva così da assicurare servizi di trasporto
pubblico efficienti.
I servizi
resi dai Notai.
Idem come
per i farmacisti. Quale maggior beneficio può portare alla collettività un
aumento del numero dei notai, mica vendono il pane? Statisticamente è provato
che un cittadino, si rivolge ad un notaio una o due volte nel corso dell’intera
sua vita. Certo, svolgono gran parte dell’attività anche per le imprese ma
forse si dimostrerebbe più efficiente una più attiva politica di
“sburocratizzazione” (cosa che peraltro è già avviata) piuttosto che la
demonizzazione di intere
categorie professionali.
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