Parlamentari
di ogni schieramento quotidianamente denunciano la mancanza di politiche per il
lavoro e la necessità di porre mano a questo tema. La disoccupazione al 12 –
13%, è ritornata ai livelli di 40 anni fa, quella giovanile colpisce la metà
dei nostri giovani ed il welfare, attraverso i cosiddetti “ammortizzatori
sociali” non riesce più a dare risposte efficaci in tema di sostegno alle
famiglie né in ordine alla integrazione e reintegrazione
nel mondo del lavoro.
Le
attività produttive si rigenerano e si rinnovano guardando altrove, laddove è
più conveniente investire e quindi, con gli strumenti attuali, non se ne esce.
Non
se ne uscirà neanche inventando nuove misure a sostegno dell’occupazione perché
nuovi incentivi ed agevolazioni appariranno come una cura palliativa,
eccezionale, temporanea ed al tempo stesso inefficace alla cura definitiva.
E’
necessario quell'atteso colpo di reni, quel cambio di passo che incida non
semplicemente sulle tradizionali leve dell’economia ma sul modo di pensare allo
stesso sistema sociale. Un sistema sociale che ci riporti ad essere ottimisti,
fantasiosi, positivi e conseguentemente costruttivi.
E’
necessario ragionare nell'ottica che la carenza di lavoro non è la causa ma
l’effetto di politiche economiche non adeguate all'evoluzione del mercato
globale e per questo inefficaci.
E’ necessario cioè, riprendere
un principio fondamentale:
Il lavoro si crea favorendo la crescita di un tessuto economico competitivo rispetto alle altre aree mondiali dove il costo del lavoro è più vantaggioso.
Per fare
questo quindi, non risulterà determinante mettere mano a nuovi strumenti
legislativi che agevolino circoscritte aree territoriali (le aree interne piuttosto che quello costiere, il sud piuttosto che il
nord) o determinate categorie di lavoratori (i giovani, le donne, i cinquantenni, ecc…). La stessa crisi dei
co.co.pro., diminuiti di un secco 25% in questi ultimi anni, va interpretata
come un segnale di mancanza di competitività ed il paradosso prodotto è stata
la generazione di precarietà anche tra i precari.
Un tessuto economico competitivo. Un sistema Paese quindi, da rinnovare sin dalle sue fondamenta, per renderlo efficace ed adeguato alle sfide globali.
Un tessuto economico competitivo. Un sistema Paese quindi, da rinnovare sin dalle sue fondamenta, per renderlo efficace ed adeguato alle sfide globali.
E
quali dovrebbero essere le prime mosse perché si provochi una inversione di
rotta tanto significativa?
La
prima, la definirei
come una operazione di RE-WELFARING.
Riconoscere
il lavoro – QUALSIASI LAVORO –, come valore essenziale per la crescita della
persona e quindi della società. Cominciando con il riconoscere valore giuridico
al lavoro casalingo. Riconoscere una remunerazione al lavoro casalingo,
professionalizzandolo, infatti, darebbe finalmente dignità a milioni di donne, casalinghe
per necessità, le quali, silenziosamente, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, contribuiscono
allo sviluppo della famiglia.
Professionalizzando
quindi il lavoro casalingo, laddove questo viene esercitato nell'ambito di una
famiglia monoreddito:
- Si assicurerebbe parità di diritti economici e pensionistici alla persona che al pari del coniuge lavoratore, contribuisce alla crescita della famiglia (nucleo principale e fondante del sistema sociale così come ci viene insegnato sin dai tempi di Socrate ed Aristotele);
- Si renderebbe disponibile un numero inestimabile di posti di lavoro, contribuendo così alla riduzione della forbice tra domanda ed offerta di lavoro;
- Si contribuirebbe a dare, come detto, dignità sociale a milioni di lavoratori.
La
copertura finanziaria andrebbe ricercata attraverso la soppressione di ogni
ammortizzatore sociale (indennità di
disoccupazione, cassa integrazione, mobilità, assegni famigliari, pensioni
sociali e quant’altro).
Le stesse pensioni di reversibilità subirebbero gli effetti di una tale riforma perché entrambi i coniugi sarebbero titolari di una posizione pensionistica.
Le stesse pensioni di reversibilità subirebbero gli effetti di una tale riforma perché entrambi i coniugi sarebbero titolari di una posizione pensionistica.
Il
saldo della spesa pubblica se non invariato potrebbe addirittura risultare
positivo ma gli effetti non si
limiterebbero ad una semplice riduzione o redistribuzione della spesa perché una
riforma di tale tenore andrebbe ad incidere direttamente sul tessuto sociale.
IL
LAVORO, finalmente, rappresenterebbe un diritto dettato dalla scelta piuttosto
che dalla necessità.
Segnerebbe
anche una inversione epocale rispetto al modo di pensare, inciderebbe ritengo
positivamente sulle scelte dei giovani e meno giovani, favorirebbe la famiglia
piuttosto che il singolo individuo, contribuirebbe al raggiungimento della
parità di diritti tra uomini e donne laddove anche l’uomo, potrà liberamente
scegliere tra il lavoro casalingo e quello tradizionale in concorso con la
donna.
Si
affermerebbe insomma, una volta per tutte, il principio che lo Stato
sostiene e conferisce valore al lavoro piuttosto che incoraggiare impropriamente
la sussistenza.
Contribuirebbe,
infine, in modo efficace e definitivo a far emergere tutto quel lavoro nero che
viene generato non per evadere le tasse ma per mantenere il diritto agli
ammortizzatori sociali.
Coloro
che perdono un lavoro e che oggi si vedono “costretti” a mille attività
sommerse per vedersi “garantire” lo status di disoccupato, domani, liberati da
questo interesse vizioso, saranno liberi di prestare qualsiasi opera alla luce
del sole.
Taluni
gruppi politici vorrebbero la nascita del “reddito di cittadinanza”. Una utopia
malefica.
Non
si acquisisce il diritto ad un reddito solo perché si è cittadini, lo si
ottiene perché si fa qualcosa. Tanto è non perché lo regolamenta la legge fin
dalla carta costituzionale ma perché il diritto ad una remunerazione, quale
corrispettivo per una qualche opera prestata, poggia certamente, nell'alveo delle leggi naturali che, di per sé risultano immodificabili.
La
seconda mossa che
immagino necessaria è la libera circolazione della moneta.
La
circolazione della moneta contante, oggi, è limitatissima. In nome di una
politica di lotta all'evasione se ne è limitata fortemente la circolazione e,
agli occhi dei nostri politici, non assume rilevanza la circostanza che la
crisi economica e sociale sia andata sempre più aggravandosi man mano che si sono posti limiti e paletti alla
circolazione della moneta. Si dirà che la circolazione illimitata della moneta
favorisce il malaffare. Ebbene, si adottino strumenti mirati contro il
malaffare ma non si generalizzi. La criminalità, l’evasione, le attività
illecite, vanno contrastate ma non a discapito di tutto e di ogni cosa. C’è del
buono, tanto, tantissimo buono da salvare e tutelare.

Si
lamenta la scarsa attrazione di questo nostro Paese per gli investimenti esteri
ma chiedo e mi chiedo: come si può immaginare che un imprenditore straniero
possa venire ad investire in Italia se siamo pronti a contargli anche le 100
euro che ha in tasca. La moneta è ormai un bene di scambio da contrabbandare,
detenere più di 1.000 euro è illegale. Si
può immaginare di attrarre investimenti solo grazie al fatto che: “chistèopaeserosole”???
E’
necessario ritornare sui nostri passi e liberalizzare la circolazione della
moneta. Renderla libera veramente, senza alcuna soglia, perché i soldi, chi li
ha, trovi conveniente investirli.
La
terza ed ultima
azione riguarda l’Europa e gli investimenti.
Di
certo non sono in grado di esprimere giudizi sull'efficacia del trattato di
Maastricht ma immagino che non fu pensato sulla previsione di una crisi tanto
feroce. Con la sua elaborazione si prevedeva un piano di risanamento ed
allineamento economico dei Paesi aderenti per poi sviluppare una crescita univoca
ed omogenea che favorisse l’integrazione europea. Nasceva sulle macerie del
muro di Berlino ed aveva una ispirazione giustamente positiva per il futuro
europeo. Da allora però, molte cose non sono andate così come si sperava. Le
Twin Tower erano ancora in piedi, la crisi economica americana era
inimmaginabile ed anche la crescita dei Paesi asiatici, benché già allora
sostenuta, non spiegava gli effetti che oggi registra.
Rappresentava
anche la premessa necessaria per una Unione Politica mai avvenuta e forse, mai
realmente voluta.
Il
Trattato quindi, andrebbe modificato, aggiornandolo alle esigenze attuali
perché possa poi essere aderente allo
scenario dei decenni futuri. Così com'è rappresenta una zavorra. Ci ha
traghettato al centro del fiume ma non ci fornisce più utili strumenti per
andare avanti e neanche è possibile ritornare indietro. Anche su questo tema,
quindi, serve un atto di coraggio, uno stimolo straordinario, un colpo di reni.
Mi
rendo conto che non sarà facilissimo né rapido ma, almeno la deroga degli
investimenti a quel patto di stabilità che strozza le economie deboli favorendo
così indirettamente ed impropriamente quelle forti, mi pare una richiesta
urgente, doverosa e necessaria.
Lettura assolutamente condivisibile. In particolare e' da tempo che sostengo la necessita' di qualificare il lavoro di cura e quello svolto nell'ambito familiare come LAVORO. Lo è' sia in forma che in sostanza.
RispondiEliminaQuesta azione, a mio parere, doverosa e di semplice realizzazione restituirebbe dignità', libertà di scelta e corretto valore economico ad una delle attività' che assorbono gran parte del tempo delle persone in età lavorativa che vivono nel ns. Paese.
Anche gli effetti sul Pil sarebbero tutt'altro che irrilevanti. Si contrasterebbe una fetta consistente di lavoro domestico a nero e, non da ultimo, un numero considerevole di persone acquisirebbe la consapevolezza di " lavorare" rinunciando a pretese di indennità' o nuove e non sostenibili forme di " reddito di cittadinanza" di RMI o come in passata pure e' stato denominato di "reddito di ultima istanza".
Pare, tuttavia, che le teorie economiche vadano in altra direzione.....
Nessun ancora mi è' riuscito a spiegare con chiarezza quali siano le argomentazioni contrarie!
La libera circolazione della moneta liquida e' altro tema scottante.
Non credo che liberalizzare l'utilizzo del contante possa incidere in maniera significativa sulla ripresa degli investimenti. L'approccio al problema e' tuttavia emblematico di un modo di fare tipicamente italiano.
Per contrastare il malaffare non si agisce in maniera diretta piuttosto si preferisce mettere in campo azioni collaterali